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Capitolo II
Long Day’s Journey into Night

II.3. Echi strindberghiani

L’influenza che su O’Neill ebbe l’opera di August Strindberg è stata spesso evidenziata dalla critica.  In particolare, Sophus Keith Winther ed Egil Törnqvist hanno dedicato all’argomento numerosi saggi[1], nei quali si traccia una mappa dettagliata degli “echi strindberghiani” lungo l’intera produzione del drammaturgo americano.  Questi studi dimostrano che le affinità tra i due autori sono di varia natura: riguardano sia la scelta dei temi, sia la tecnica drammatica, sia il repertorio di immagini  e simboli utilizzati;  tuttavia, l’elemento che li accomuna forse  più palesemente è  un  profondo impulso autobiografico, che costituisce il vero motore della produzione di entrambi.  Agnes Boulton, seconda moglie del drammaturgo, afferma nella sua autobiografia che O’Neill “was impressed by Strindberg’s  anguished  personal  life  as  it  was shown in the novels (The Son of a Servant and others, all autobiographical)”[2]:  O’Neill era affascinato non solo dall’opera teatrale, ma da tutta la produzione di Strindberg e in particolare dai romanzi-confessione[3], nei quali si identificava e che rileggeva costantemente, “even more frequently than the plays”[4].

Per Strindberg, come per O’Neill, la scrittura drammatica significò -  nelle parole di Ludovica Koch - “rimettere puntigliosamente a posto lontanissime angherie [...], fare i conti col passato, riprendere possesso  della  propria storia”[5] Entrambi i drammaturghi condividono, infine, la medesima concezione tragica della vita umana, intesa come “the development of an inner conflict, a struggle for the survival of the spirit against the inexorable powers of fate”[6]. Come osserva Arthur Gelb:   “Strindberg  was  more  than  a  literary  kindred spirit to O’Neill [...];  he became in some ways a pattern for O’Neill’s life”[7].


[1] Winther, S.K., “Strindberg and O’Neill. A Study in Influence”, in: Scandinavian Studies, 31, Aug. 1959, pp. 103-120. Questo saggio, che inaugurò il folto numero di studi sull’argomento, esamina l’affinità tra le visioni tragiche dei due autori da un punto di vista essenzialmente tematico. Le analisi di Törnqvist tendono invece a concentrarsi sulle somiglianze stilistiche e di struttura compositiva dei drammi, prendendo spesso in esame singole pièces, come in: Törnqvist, E., “Miss Julie and O’Neill”, in: Modern Drama, 19:4, 1976, pp. 351-364.

 

[2] “era  molto colpito dall’angosciata esperienza personale di Strindberg, come era presentata nei romanzi (Il figlio della serva ed altri, tutti autobiografici)”. Boulton, A., Part of  a Long Story, New York, Doubleday, 1958, p. 76.

 

[3] Si tratta del cosiddetto “ciclo autobiografico”, composto tra il 1886 e il 1908  e che comprende: Tjänstekvinnans son; Jäsningstid; Le Plaidoyer d’un fou; Inferno; Légendes; il frammento Jakob brottas; Ensam e Ockulta dagboken. In realtà, l’intera produzione di Strindbeg può considerarsi di carattere autobiografico.

 

[4] “anche più spesso dei drammi”. Ibid., p. 76. Vale la pena di ricordare che, in Journey, le opere di Strindberg sono esposte, insieme a testi di Nietzsche, Marx, Ibsen e altri autori “radicali” della seconda metà dell’Ottocento, nella “small bookcase” del salotto e “have the look of having been read and reread” (hanno l’aria di esser stati letti e riletti). O’Neill, E., op. cit., p. 9.

 

[5] Introduzione a: Strindberg, A., Romanzi e racconti, Milano, Mondadori, 1991, p. xviii.

 

[6] “lo sviluppo di un conflitto segreto, una lotta per la sopravvivenza dello spirito contro le inesorabili forze del destino”. Winther, S., op. cit., p. 106.

 

[7] “Strindberg fu per O’Neill più di uno spirito letterariamente affine; egli divenne in un certo senso un modello di vita”. Citato in: Törnqvist, E., “Strindberg and O’Neill”, in: Blackwell, M.J. (ed.), Structures of Influence: a Comparative Approach to August Strindberg, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1981, p. 288.

 

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