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Capitolo II
Long Day’s Journey into Night

II.2.2. Quattro destini intrecciati: i personaggi e la loro tormentata interazione

Non  v’è  in  Journey  quello  che si definisce convenzionalmente un “protagonista”[1], ovvero un’unica figura che stia al centro dell’azione drammatica, poiché tutti e quattro i Tyrone dominano alternativamente la scena: ognuno di loro esprime di volta in volta una varietà di lati positivi e negativi, ed è allo stesso tempo sostenuto e menomato dagli altri membri del quartetto, coi quali è in strettissimo rapporto.  Il “personaggio” principale - se si vuole - è l’intera famiglia, e l’aggrovigliato sistema di relazioni al suo interno.

Ogni personaggio  porta  in  sé un  punto vulnerabile,  una disfunzione  fisica  o  psicologica,   che  è   alla   base  della   sua personale sconfitta  e che influenza in vari modi l’equilibrio del nucleo   famigliare:    Mary    è   stata   e   riprenderà   ad   essere dipendente dalla morfina, James è affetto da un’avarizia ai limiti del grottesco[2], Edmund è gravemente malato, Jamie è un alcolista ed è  morbosamente  geloso  del  talento  poetico  del fratello; i tre uomini, infine, si abbandonano a un consumo sregolato di bevande alcoliche.  Queste debolezze caratteriali, paragonabili alle “fatali imperfezioni” degli eroi tragici, si svelano gradatamente nel corso del dramma, anche se fin dall’inizio siamo consapevoli che c’è qualcosa che non va sotto la superficie di cordialità e rilassatezza, con cui la pièce si apre. Già nel primo dialogo fra Mary e James, dai toni in apparenza distesi e scherzosi (James rimprovera affettuosamente la moglie per non aver mangiato molto a colazione; Mary prende in giro il  marito  per  il  suo  enorme  appetito  e per il suo russare  della  notte  precedente),  è  presente  “an undercurrent of resentment”[3], e  le didascalie  mostrano    sfumature   di nervosismo nel senso da attribuire alle battute.  Mary le enuncia,   nell’ordine:   “a  trifle  acidly”,  “as  if  she wanted to dismiss   the   subject”,   “forcing  a   smile”,  “with   sudden tenseness”;   James,  a  sua  volta:  “defensively”,  “huffily”,  “he gives a quick, worried look”, “with a constrained air”[4].

L’aria  è  carica di tensione  (“There is gloom in the air you could  cut  with  a  knife”[5],  esclama il padre rientrando in  casa all’ora di pranzo), il motivo della quale si palesa solo a metà del Secondo Atto, quando la ricaduta della madre nella tossicodipendenza diventa  evidente  a  tutti.     Fino a questo momento, i personaggi dissimulano la loro preoccupazione per la  capacità  di  Mary  di  tenersi lontana  dal narcotico sotto una maschera  di  forzata  giovialità, in  cui l’eufemismo, l’antifrasi[6]  e  il “non detto”  sono  la (tacita)  regola   generale   della comunicazione.   Il gran numero di allusioni e affermazioni lasciate in sospeso, quasi tutte imperniate sull’eventualità di un ritorno di Mary alla morfina[7], segnalano la difficoltà incontrata   dai   famigliari  nell’aprirsi  onestamente  l’uno  con  l’altro.   Nessuno  di   loro riesce  a  parlare  con  franchezza,  a  chiamare  il  problema  per nome (la parola “morphine” è utilizzata nel dramma un’unica volta: da Edmund, durante il suo colloquio-confessione col padre nel Quarto Atto[8]), e la forte ambiguità dei dialoghi crea un clima di sospetto in cui - come nota Stephen Bloom - si ha l’impressione che i personaggi  camminino su gusci d’uova[9], ovvero su un campo minato, col rischio di saltare in aria al minimo passo falso.

Ossessionati dal timore di ferire o di essere feriti, riluttanti ad affrontare la verità su loro stessi e sui loro rapporti[10], i Tyrone sembrano in grado di comunicare solo in modo obliquo, caricando le loro conversazioni di reticenze, doppi significati e messaggi   nascosti.    Si  tratta,  del  resto,  di  un   accorgimento abbastanza comune, nella costruzione del linguaggio drammatico in generale, per creare un effetto di suspense, se è vero - come afferma Martin Esslin - che: “The words spoken between    the   characters   always   contain  another   charge  of meaning  for   the  audience [...] which  will  later  be  clarified by  the  action”[11]. L’impiego di tale   procedimento   in Journey  contribuisce ad accentuare la tortuosità della già complessa comunicazione famigliare. Quando, ad esempio, Mary  esorta  il  marito  e  il  figlio a godersi la bella mattinata (“take  advantage of  the sunshine before the fog comes back, because I know it will!”[12]), si  intuisce - anche per  via  del  tono strano[13]  con  cui  le parole sono pronunciate - che il riferimento  non   è  solo  alle  condizioni  atmosferiche,  ma  a un significato “altro”, metaforico della foschia[14], la cui portata non è possibile cogliere a questo stadio dell’azione ma che si rivelerà più avanti un’allusione al “ritorno” del fantasma della tossicodipendenza.

Prima    ancora    che   i   Tyrone   entrino   in   scena,    le    lunghe didascalie[15]  all’inizio  del  dramma  forniscono  una  minuziosa descrizione del loro aspetto fisico e ne mettono immediatamente  in  evidenza  i tratti  psicologici distintivi, che  verranno  sviluppati  e   portati alle estreme conseguenze nel corso dell’azione.  Le indicazioni sceniche ci informano subito, per esempio, dell’estremo nervosismo[16] di cui Mary è vittima: il suo  volto  è  pallido;  le mani,  colpite  dall’artrite, hanno   “an  ugly  crippled look”[17] e  “are  never  still”[18];  Mary non riesce a controllarne il tremito, e questo è per lei fonte di umiliazione.  I capelli e l’abbigliamento scrupolosamente curati indicano che,  quando è  lucida (cioè almeno per  tutto  il  Primo Atto), per Mary è importante salvare le apparenze e mostrarsi attraente al marito e ai figli[19]; tuttavia, malgrado l’attenzione che dedica alla sua figura, la consapevolezza di essere fisicamente “a posto” non riesce a rassicurarla, e l’impressione principale che il suo personaggio - fin dall’inizio - comunica è quella di un profondo disagio, che si manifesta con violenza nei momenti in cui ella è sola in scena  e può lasciar “cadere la maschera”[20].

Il contrasto fra l’aspetto di Mary e quello del marito non potrebbe  essere più eclatante, specialmente poiché essi entrano in scena   abbracciati  l’uno  all’altra:   mentre   lei    è  vestita   “with  a   sure  sense  of  what  becomes  her”[21], James indossa “a threadbare,  ready-made [...] suit  and shineless  [...] shoes”[22], è l’unico della famiglia a non portare colletto e cravatta e “doesn’t give a damn how he looks ”[23].   La tenuta lisa e trasandata del padre rimanda alle sue  origini nel mondo  contadino  irlandese,  ed  è  un  chiaro  simbolo  della  sua   grettezza,   dell’ossessione  per   il   risparmio    ad    ogni     costo    che     lo     contraddistingue,   e   dell’indifferenza   che lui  e  i  suoi  figli  mostrano  verso  le  regole  del  decoro  borghese.    Proprio  il   disinteresse  di   James   nei confronti  delle  esigenze  di  rispettabilità  e status sociale  della moglie   è   una   delle    cause   principali   del  malessere   della famiglia, e una delle fonti di maggior rimpianto per Mary, che si lamenta:

He thinks money spent on a home is money wasted. He’s lived too much in hotels. Never the best hotels, of course. Second-rate hotels. He doesn’t understand a home. He doesn’t feel at home in it.[24]

Poiché James non si è mai curato di dare alla moglie e ai figli una dimora stabile, alimentando così l’acuta alienazione di cui la famiglia già soffre (a New York, dove risiedono, i Tyrone hanno sempre vissuto in albergo), la casa estiva in cui si svolge il dramma è, nelle parole di Edmund, “the only home we’ve had”[25]. Tuttavia, nessun membro della famiglia si sente veramente “a casa” (l’espressione inglese “home” indicando un senso di appartenenza sentimentale, non solo fisico, al focolare domestico) in questo cottage costruito e arredato in modo dozzinale, dove non viene mai nessuno in visita e che è snobbato perfino dalla servitù, poiché - come dice Mary:

The  really good servants are all with people who have homes and not merely summer places. And your father won’t even pay the wages the best summer help ask[...]; it’s always seemed to me your father could afford to keep on buying property but never to give me a home.[26]

La mania della speculazione terriera, a cui Mary si riferisce, è un autentico tarlo, che mangia il cuore di James come la morfina quello della madre: si tratta probabilmente di un meccanismo psicologico di compensazione per le drammatiche privazioni subite nell’infanzia, che  spinge James ad accumulare senza sosta terreni  per una mera brama di possesso, facendosi spesso gabbare sul loro reale valore e  senza poi  nemmeno  investire  in essi.  “The more property you own, the safer you think you are”[27] è il credo (tutto americano), a cui il padre ha  sacrificato  il  benessere della famiglia  e  la sua stessa carriera artistica,  poiché  fu  la  sua  atavica  fame  di  terra  a  far  sì  che egli svendesse il proprio talento attoriale agli alti incassi di scadenti melodrammi.

L’ossessione  per la terra, di  cui  James è vittima, si riflette nel colore marrone del suo vestito e della vestaglia che porta in serata, e  contrasta  con gli abiti di Mary ed  Edmund:  madre  e figlio  indossano capi  in varie  sfumature  del  blu[28],  il   colore del   cielo   e   del  mare,  simbolo  di  trascendenza   e  di  quella libertà a cui entrambi anelano[29].

Anche di Jamie le indicazioni sceniche tracciano un ritratto accurato, in cui dominano i tratti negativi: a poco più di trent’anni, il figlio primogenito mostra nel volto e nel fisico “signs of premature disintegration”[30], ha stampata sul viso “a Mephistophelian cast”[31] che, come il ghigno sarcastico con cui accompagna le sue uscite, gli dà un’aria cinica e disillusa.  Se è rimasto in lui “the remnant of a humorous[...]Irish charm”[32], è certo che Jamie non ne fa grande uso nel corso del dramma, in cui è anzi l’accusatore più spietato, sia per via del troppo whisky consumato  a casa  e fuori, sia  perché, come  dice a  Edmund:  “remember  I’ve  seen  a  lot  more of this game  than you have...I know the game backwards”[33].   Forte  della propria totale  disillusione,  Jamie  è - paradossalmente - il  personaggio che   affronta  la  crisi  famigliare   con  più  schiettezza,  benché spesso in maniera brutale.  Egli sa fin dall’inizio che è vano sperare e tenta  con i suoi interventi di perforare lo schermo   di  inganni  e  negazioni,  che  i   Tyrone hanno eretto al fine di mantenere una facciata di “normalità”.  Per  esempio,   risponde al padre, che lo ammonisce a non rivelare direttamente  a  Mary  la vera natura del malessere di Edmund:

I think it’s the wrong idea to let Mama go on kidding herself. It will only make the shock worse when she has to face it. Anyway, you can see she’s deliberately fooling herself with that summer-cold talk.[34]

È Jamie a rendersi conto per primo che la madre ha ricominciato  a  drogarsi, e  a comunicarlo  senza mezzi termini: “Another  shot  in  the arm! [...] I was merely putting bluntly what we all know, and have to live with now, again”[35].

Per  quanto  riguarda Edmund, infine, la presentazione del personaggio  nelle didascalie iniziali è tutta incentrata  sulla sua malattia  (il suo è l’aspetto caratteristico del tisico:   magrissimo, con occhi lucidi e guance incavate, ha violenti attacchi di tosse),  e su una spiccata delicatezza d’animo,  che si rivelerà più avanti essere “la stoffa del poeta”[36].  Di  tutti i membri della famiglia,  Edmund è quello che cerca di essere più indulgente, particolarmente nei confronti della madre, e di evitare per quanto possibile i diverbi, anche perché - come dice lui stesso: “I don’t want to mix up in any arguments. I feel too rotten”[37]. Benché le cattive condizioni fisiche non abbiano potuto fare a meno di minare il suo morale, egli non sembra aver sviluppato il cinismo disperato del fratello, e reagisce alla situazione famigliare con  filosofica amarezza: “Christ, you have to make allowances in this damned family or go nuts!”[38].    Edmund è lo  spirito   romantico   per  antonomasia:   sempre  alla   ricerca   di qualcosa “oltre l’orizzonte”[39], qualcosa che nemmeno lui  sa ben definire  (“I  couldn’t  touch what  I tried to tell you  just now.  I just   stammered.    That’s   the  best   I’ll  ever  do”[40]),    ma   che identifica con  gli istanti  di beatitudine mistica (“the joy of  belonging to a fulfillment beyond men’s lousy, pitiful, greedy   fears!”[41]) sperimentati durante i suoi viaggi per mare.  In lui l’autore ha delineato il ritratto  dell’artista  (se stesso)  da giovane,  smussando peraltro i lineamenti più aspri della sua personalità e omettendo dettagli essenziali, primo fra tutti  il fatto che nel 1912 Eugene O’Neill era sposato, in procinto di divorziare e padre di un figlio.  Ne consegue che, mentre gli altri Tyrone corrispondono fedelmente ai loro modelli reali, Edmund come alter ego del drammaturgo è per molti versi poco veritiero[42].

C’è, in verità, un quinto Tyrone implicato nel dramma: si tratta del figlio secondogenito,  morto  a soli  due anni  e che ha significativamente nome Eugene[43].   Il suo spettro è evocato più volte da Mary, che si considera responsabile della sua prematura scomparsa e la interpreta   come un presagio dell’attuale malattia di Edmund:

ever since he’s been so sick I’ve kept remembering Eugene [...] and I’ve been so frightened and guilty - [44]

La caratterizzazione dei personaggi è conforme alla tecnica di rivelazione graduale, con cui il dramma è costruito e che impedisce - nell’interesse della suspense drammatica - riferimenti espliciti alle sorti della famiglia nei primi atti. Come abbiamo avuto modo di rilevare, il movimento fondamentale del dramma è un itinerario a ritroso nel passato famigliare, e la presentazione dei caratteri segue uno schema analogo: si addentra a poco a poco nelle profondità delle loro motivazioni, fornendo però fin da subito al lettore/spettatore informazioni importanti sulla loro personalità, attraverso un uso  simbolico di particolari fisici, di dettagli d’abbigliamento e, soprattutto, di un dialogo che funziona su più livelli[45].


[1] Vedi: Pavis, P., op. cit., pp. 159-160; 319.

 

[2] L’avarizia di James - tanto esasperata che i figli lo paragonano al personaggio dell’avaro in un celebre melodramma: “Old Gaspard, the miser, in ‘The Bells’, that’s a part he can play without make-up” (Il vecchio avaro Gaspare ne ‘Le campane’, ecco una parte che può recitare senza trucco), O’Neill, E., op. cit., p. 138 - dà vita a situazioni di grande comicità. Ad esempio: James s’inventa la scusa che la luce delle lampadine gli dà fastidio agli occhi, per indurre Edmund a spegnerle e risparmiare così sull’elettricità  (ibid., p. 132).

 

[3] “Jokingly but with an undercurrent of resentment” (scherzando, ma con una corrente sotterranea di risentimento): così l’autore specifica come una delle battute di James Tyrone deve essere pronunciata. Ibid., p. 12.

 

[4] Nell’ordine: “un tantino acida”, “come se volesse cambiare argomento”, “sforzandosi di sorridere”, “improvvisamente tesa”; “sulla difensiva”, “risentito”, “lanciando una furtiva occhiata preoccupata”, “con tono forzato”. Ibid., pp. 13-14.

 

[5] “C’è un’aria così fosca che si potrebbe tagliare con un coltello”. Ibid., p. 57.

 

[6] La figura retorica che consiste nell’esprimere il contrario di ciò che si pensa.

 

[7] Nel solo Capitolo Primo si contano sei frasi troncate, in cui i personaggi alludono allo spettro della morfina senza mai nominarla: una pronunciata da Jamie (ibid., p. 33), una da Edmund (p. 39), due da James (p. 33) e due dalla stessa Mary (pp. 40;41).

 

[8] “If you’d spent money on a decent doctor when she was so sick after I was born, she’d never have known morphine existed” (Se tu avessi chiamato un bravo medico, quando lei stette tanto male dopo la mia nascita, non avrebbe mai saputo che esisteva la morfina). Ibid., p. 121. Altrimenti, nel dramma ci si riferisce sempre alla droga con perifrasi come “the poison” (il veleno), o “her curse” (la sua maledizione): ibid., pp. 67; 154.

 

[9] “The egg shells in the Tyrone family are pervasive; they surround each character. Indeed, Act I could appropriately be subtitled 'Walking on Egg Shells'” (I gusci d’uova nella famiglia Tyrone sono ovunque; circondano ogni personaggio. Davvero, l’Atto Primo si potrebbe adeguatamente sottotitolare “Camminando su gusci d’uova”): Bloom, S., “Empty Bottles, Empty Dreams: O’Neill’s Use of Drinking and Alcoholism in Long Day’s Journey into Night”, in: Martine, J., (ed.), Critical Essays on Eugene O’Neill, Boston, G.K.Hall & Co., 1984, p. 163.

 

[10] “Who wants to see life as it is, if they can help it?”(Chi vuol vedere la vita come è, potendone fare a meno?). Così esclama Edmund nel Quarto Atto: O’Neill, E., op. cit., p. 113.

 

[11] “Gli scambi verbali fra i personaggi contengono sempre un’ulteriore carica di significato per il pubblico, che verrà chiarita nel corso dell’azione”. Esslin, M., The Field of Drama, London, Methuen Drama, 1987, p. 82.

 

[12] “approfittate del sole mattutino prima che torni la nebbia, perché sento che tornerà!”. O’Neill, E., op. cit., p. 35. Più avanti, quando è ormai certo della ricaduta di Mary, James esclama: “We’re  in for another night  of fog, I’m afraid” (Ho paura che avremo un’altra nottata di nebbia), ibid., p. 70.

 

[13] “Strangely, as if talking aloud to herself” (In tono strano, come se parlasse ad alta voce con se stessa), ibid., p. 35.

 

[14] Per una discussione del significato simbolico della nebbia e delle condizioni meteorologiche si rimanda a II.2.3., pp. 69 e segg.

 

[15] O’Neill è famoso per le lunghe indicazioni sceniche, con cui era solito corredare i suoi drammi, e a cui dedicava la stessa importanza che ai dialoghi. Journey si apre con ben tre pagine di didascalie, che presentano con dovizia di dettagli: la scenografia, le condizioni atmosferiche e i personaggi, nell’ordine della loro apparizione in scena. Sull’importanza delle didascalie per O’Neill si rimanda a II.1.2., p. 45.

 

[16] “What strikes one immediately is her extreme nervousness” (Ciò che colpisce immediatamente è il suo estremo nervosismo). O’Neill, E., op. cit., p. 10.

 

[17] “un brutto aspetto deforme”. Ibid., p. 10.

 

[18] “non stanno ferme un attimo”. Ibid., p. 10.

 

[19] Man mano che Mary si abbandona, nel corso della giornata, all’effetto della morfina,  l’imbarazzo e la preoccupazione per il proprio aspetto lasciano progressivamente spazio a una disinvoltura artificiosa, che si riflette nella pettinatura sempre più sbilenca e nel disordine degli abiti.  Nel momento in cui Mary riprende a drogarsi, i capelli da mettere a posto diventano una scusa per salire al piano di sopra e farsi un’iniezione: “I’m going upstairs for a moment, if you’ll excuse me. I have to fix my hair” (Vado di sopra un attimo, se volete scusarmi. Devo mettermi a posto i capelli), ibid., p. 64. È interessante notare che il verbo “to fix” indica sia il “mettere a posto” che - nella locuzione “to get oneself a fix” - l’atto di iniettarsi l’eroina.

 

[20] Per esempio, al termine del Primo Atto, quando gli uomini escono in giardino e Mary è “seized by a fit of nervous panic. She begins a desperate battle with herself” (in preda a un attacco di panico nervoso. Inizia una disperata battaglia con se stessa), ibid., p. 43.

 

[21] “con sicuro buon gusto”. Ibid., p.10.

 

[22] “un abito logoro fatto in serie e scarpe opache”. Ibid., p.11.

 

[23] “non gli importa un accidente di essere presentabile o no”. Ibid., p.11.

 

[24] “Crede che il denaro speso per una casa sia denaro sprecato. Ha vissuto troppo negli alberghi [per via della sua professione d’attore, che lo portava spesso in lunghe tournées per gli Stati Uniti, n.d.t.]. Mai i migliori, beninteso. Alberghi di second’ordine. Non capisce che cosa sia una casa; non ci si sente a suo agio”. Ibid., p. 53.

 

[25] “l’unica casa che abbiamo mai posseduto”. Ibid., p. 38.

 

[26] “il personale migliore sta nelle famiglie che hanno dimore vere e proprie, non semplici case estive. E vostro padre non vuole neppure pagare i salari che il personale estivo di buon livello richiede; ho sempre avuto l’impressione che vostro padre potesse sempre permettersi di comprare altra terra ma mai di darmi una casa”. Ibid., pp. 53; 63.

 

[27] “Più terra si possiede, più ci si sente al sicuro”. Ibid., p. 127.

 

[28] Mary indossa “a sky-blue dressing gown” (una vestaglia azzurro cielo, ibid., p. 150) per la sua apparizione notturna; Edmund è vestito con “a blue serge suit” (un abito di tela blu, ibid., p. 77) dal Secondo Atto in poi.

 

[29] Secondo Egil Törnqvist, il blu degli abiti di Mary ed Edmund sarebbe da connettere alla pulsione di morte (la forma estrema di libertà), che i personaggi albergano in sé. Entrambi hanno alle spalle un tentativo di togliersi la vita: Mary quando tentò di gettarsi in mare durante una crisi d’astinenza (vedi: ibid., p. 103); Edmund quando alloggiava nella squallida locanda di Jimmie the Priest a New York. “Like his mother, Edmund is in love with death and with heaven; her dream of becoming a nun is the more conventional, Catholic version of his poetical dream of being a sea gull: both long for freedom from mankind and a celestial sense of belonging” (Come la madre, Edmund è innamorato della morte e del cielo; il sogno che Mary aveva di farsi suora è la versione cattolica, più convenzionale, del sogno poetico del figlio, che avrebbe voluto nascere gabbiano: entrambi anelano a liberarsi dagli altri esseri umani e a raggiungere un celestiale senso di appartenenza). Törnqvist, E., op. cit., p. 136.

 

[30] “segni di precoce decadenza”, O’Neill, E., op. cit., p. 16.

 

[31] “un’espressione mefistofelica”, ibid., p. 16.

 

[32] “un residuo del fascino spiritoso dell’irlandese”, ibid., p. 16.

 

[33] “Ricordati che di questa faccenda ne ho visto ben più di te....Conosco questa storia [la periodica tossicodipendenza della madre, n.d.t.] fin dall’inizio”. Ibid., p. 49.

 

[34] “Penso che sia sbagliato lasciare che la mamma continui ad illudersi. Farà sì che il colpo [il fatto che Edmund ha la tubercolosi, n.d.t.] sia ancora più forte quando dovrà affrontarlo. A ogni modo, è evidente che cerca di proposito di ingannare se stessa con questa storia del raffreddore estivo”. Ibid., p. 25.

 

[35] “Un’altra dose nel braccio! Ho solo espresso bruscamente quel che sappiamo tutti, e a cui dobbiamo di nuovo abituarci”, ibid., p. 65.

 

[36] “Yes, there’s the makings of a poet in you all right” (Sì, hai davvero la stoffa del poeta). Così dice James al figlio: ibid., p. 135.

 

[37] “Non voglio immischiarmi in nessuna discussione. Mi sento uno schifo”, ibid., p. 37.

 

[38] “Signore, bisogna trovare delle giustificazioni in questa famiglia della malora se non si vuole impazzire!”, ibid., p. 126.

 

[39] Beyond the Horizon  (Oltre l’orizzonte)  è il titolo del primo “full-length play” (dramma in quattro atti), composto da O’Neill e rappresentato a Broadway nel 1920. Vedi: Black, S., op. cit., p. 8.

 

[40] “Non sono riuscito a chiarire ciò che ti ho appena detto. Ho  potuto esprimermi solo confusamente. E non riuscirò mai a fare di meglio”, O’Neill, E., op. cit., p. 135.

 

[41] “la gioia di appartenere a una compiutezza al di là delle misere, pietose, grette paure degli uomini!”, ibid., p. 134.

 

[42] Secondo Matthew Wikander:“The younger son seems much younger in the play, or at least much less mature.[...]If the play  and the act of writing it served to help [O’Neill] work through his conflicts with his parents and his brother - all of whom were dead at the time of writing - it did not completely help him with his conflicts with himself” (Il figlio minore appare molto più giovane nel dramma [di quanto lo fosse nella realtà, n.d.t.], o almeno molto meno maturo. Se la pièce e l’atto di scriverla aiutarono [O’Neill] a elaborare i propri conflitti con i genitori e il fratello - i quali erano tutti morti al tempo della stesura - non lo aiutarono del tutto a venire a patti con il conflitto che aveva con se stesso).  Wikander, M.H., “O’Neill and the Cult of Sincerity”, in: Manheim, M. (ed.), The Cambridge Companion to Eugene O’Neill, Cambridge, Cambridge University Press, 1998, p. 231.

 

[43] O’Neill utilizzò il nome del fratello morto per il suo alter ego drammatico (Edmund), e chiamò il secondogenito dei Tyrone col suo nome (Eugene). Secondo Louis Sheaffer: “the significance of the change is obvious: nothing was more true of O’Neill than that he had a strong death wish” (il significato dello scambio è ovvio: niente circa O’Neill era più  vero del  fatto che egli albergava  in sé una forte pulsione di morte),  Sheaffer, L., op. cit., p. 512.

 

[44] “da quando sta così male continua a venirmi in mente Eugene, e  provo tanta paura e rimorso”, O’Neill, E., op. cit., p. 76.

 

[45] Egil Törnqvist definisce questo metodo di presentazione “cumulative technique” (tecnica cumulativa): Törnqvist, E., op. cit., p. 45.

 

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